E’ stata presentata oggi alla stampa la VI edizione della Summer School di Arti performative e community care, che ruota intorno a temi complessi, quali l’innovazione sociale e il patrimonio immateriale.
E come per ogni nuovo inizio, ogni parola scelta per rappresentare al meglio l’iniziativa ha un suo peso specifico. Più che trasferire con dei virgolettati, quanto i relatori della conferenza hanno detto, mi piace sottolineare solo alcune parole chiave da cui poter partire per sviluppare i diversi orizzonti tematici. Cosa sia, come si articola o si differenzia dalle precedenti edizioni la Summer, lo si potrà scoprire seguendo questo blog che sarà uno dei contenitori “social” che arricchiscono di confronto quest’esperienza. Io oggi voglio partire dalle prime parole spese intorno all’universo SummerSchool.
Francesco Rausa, sindaco di Ortelle, un paese piccolo, estremamente attento al suo “essere comunità” ha parlato di un “ patrimonio da non lasciare nel dimenticatoio “. Probabilmente la full immersion della Summer School ha anche il merito di irrompere in una quotidianità , che non valorizza il patrimonio fatto non solo di beni materiali, ma di quella ricchezza di saperi che si danno per scontati o sono sotterranei.
Ci vuole “lungimiranza” per varare un progetto come questo ha evidenziato il presidente della Provincia Antonio Gabellone, che lo ha tenuto a battesimo sei anni fa e lo ha visto snodarsi nei vari, piccoli, autentici paesi del Salento, quelli pieni di tradizioni, emozioni e conoscenza da trasmettere. Sicuramente riuscire a proiettarsi in una dimensione che sposta l’epicentro della conoscenza dalle aule universitarie al territorio è un valore cui solo in tempi molto recenti è stato dato il nome di “terza missione dell’Università”. Lo ha sottolineato molto bene il responsabile scientifico della Summer Salvatore Colazzo, che ha scoperto, forse anche con un pizzico di stupore da parte sua, che il racconto di questa esperienza nei luoghi e nelle circostanze prettamente accademiche, come i convegni scientifici, cominciava a destare sempre più interesse. E l’idea di una pedagogia che agisse (e quindi non solo teorizza) con e per la comunità, da “voce singolare e provocatoria” diventava l’inizio di un coro.
“La provocazione” è sicuramente un’altra parola chiave perché questa edizione non ha voluto avvalersi di finanziamenti pubblici tratti da bandi che imponeva di snaturare l’idea di fondo di una scuola, strutturata in perfetta simbiosi con gli operatori sociali e culturali che spesso non rivestono incarichi universitari, ma danno forma e corpo alle più disparate teorie accademiche.
E per fare tutto ciò ci vuole una “sana follia” come ha giustamente ricordato il consigliere del comune di Melpignano Gianluca Greco, cui la Summer School così come è concepita piace tanto, proprio perché traccia una rotta che gli amministratori possono seguire per comprendere la comunità di riferimento e “per poter leggere il tessuto sociale”. E la coordinatrice della Scuola, Ada Manfreda lo ribadisce forte. “Tutto ciò non è un pacchetto turistico, né uno spettacolo”. Dopo cinque anni è nata l’esigenza di metter in valore quanto è stato prodotto finora ed elaborare una riflessione per le questioni che pure sono state sviscerate, ma che restano irrisolte, a partire da un nodo attualissimo quale quello dell’immigrazione. Per tutte queste ragioni, dall’1 al 7 settembre, si succederanno attività laboratoriali, performance, approfondimenti a carattere narrativo, da letture a videoproiezioni; il tutto costruito nell’ottica dell’educazione reciproca. I partecipanti della Summer di quest’anno sono docenti e ricercatori provenienti da tutta Italia, pronti a rimettersi in gioco e a far parte di un coro di voci, per poter seminare e far germogliare “creatività”.
Domani comincia il viaggio.
Antonella Lippo
buon inizio del viaggio e buona summer a voi tutti…che ogni gesto e ogni momento abbiano un senso profondo di semplicità e di ricchezza…prima o poi ci sarò anche io con voi e torneremo a fare grandi cose insieme!!!
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